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Mediterraneo

Macro - Mattatoio Roma  •  Italy [IT]

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Il progetto è di quelli ambiziosi, e a dimostrarlo bastano i numeri: 10 curatori, 45 artisti di 14 nazionalità diverse per un totale di 62 opere raccolte negli spazi vasti ma non immensi di Macro al Mattatoio, a raccontare o forse solo immaginare l’arte contemporanea nel bacino del Mediterraneo, alla ricerca di una koyné artistica attuale che forse esiste e forse no.

Ognuno dei 10 curatori coinvolti (tutti rigorosamente provenienti da paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo) ha individuato alcuni artisti di vari paesi – ancora una volta, naturalmente, 

mediterranei nei quali si potessero riconoscere quelle caratteristiche di contiguità e comunità culturale, ma anche di specificità locale, che costituiscono l'assunto teorico della mostra. 

Il Mediterraneo, oggi così di moda nella produzione culturale, da Manuel De Oliveira a Michelangelo Pistoletto, diventa quindi, più che un luogo geografico, un luogo dell'immaginario e del simbolo, insieme di mediterranei che convivono e si confrontano oltre la propria dimensione nazionale.

Il risultato dell'operazione però, disattende un po' le aspettative dei curatori e le premesse concettuali: di fatto, se una koyné emerge dall'accostamento dei lavori in mostra, non sembra tanto legata ad una comune cultura ed origine mediterranea, quanto piuttosto figlia del mondo internazionale dell'arte, che troppo spesso parla un linguaggio freddo e distante (e certo l'assoluta preponderanza dei video non giova a smentire quest'impressione), con convenzioni rigide anche se informali, globalizzate, queste sì, perché sembrano riflettere soltanto una cultura elitaria e sovranazionale, gelida e asettica come la sala d'attesa in un aeroporto internazionale.

Non a caso le opere più belle, o almeno che più colpiscono e più rimangono a mente, sono quelle nelle quali è più evidente il riflesso della cultura di origine dell'artista, il richiamo a luci, colori, tradizioni o paesaggi del suo paese. Sicuramente fra queste va incluso il video dell'artista albanese Anri Sala,Dammi i colori, del 2003, nel quale la voce del sindaco di Tirana ci accompagna per le strade di una città notturna e degradata raccontando il singolare progetto di partecipazione dei cittadini al rinnovamento urbanistico, attraverso la scelta dei colori e la pittura delle facciate dei palazzi che li ospitano. 

Diverso, ma ugualmente coinvolgente, è il progetto-installazione di Khalil Rabah “The Palestinian Museum of Natural History and Humankind”, nel quale elementi naturali (rocce, piante, terra) sono accostati a comportamenti ed azioni umane a costituire un immaginario e doloroso “Museo Palestinese” (e peccato che il cartello esposto la sera dell’inaugurazione, che annunciava un ritardo nell'allestimento di due delle vetrine del museo, non facesse parte dell'opera!). Un'altra opera-installazione da segnalare è Mama loves teleshop, di Oliver Musovik, scanzonato e affettuoso ritratto di casalinga macedone afflitta da sindrome della televendita, ritratta mentre sperimenta ognuno dei più o meno inutili oggetti acquistati nel corso di varie telepromozioni. 

Ugualmente ironico, ma anche amaro nel sottolineare la distanza tra l'hight society artistica londinese e la realtà turca, è il video di Sener Özmen The road to the Tate Modern”, nel quale un Don Chisciotte ed un Sancho Panza turchi si avviano a cavallo tra le montagne lungo la strada che conduce al celebre tempio dell'arte contemporanea. Più marcata è invece l'attenzione al sociale in “Sight.seeing di Andreja Kuluncic, artista croato, che racconta, attraverso l'accostamento stridente di sogni e realtà, la dolorosa esperienza di immigrati e profughi in attesa del permesso di soggiorno, relegati in una zona d'ombra esistenziale che non consente nemmeno il diritto di desiderare, ma lascia aperta soltanto la fuga da sé. 

Con Wonder Beyrout, invece, Joana Hadjithomas e Khalil Joreige rappresentano, utilizzando e ribaltando '’immagine del quartiere elegante e turistico di Beyrout, il dramma della guerra e dei bombardamenti: le rassicuranti immagini da cartolina degli alberghi della riviera libanese sono sottoposte ad una serie di bruciature successive, che, deformandole, sembrano riproporre sugli edifici le stesse devastazioni provocate dalle bombe. 

Insomma, non si può dire che manchino opere interessanti, all'interno della mostra, ma, nel complesso, l'eccessiva presenza di video, di tecnologie, l'accostamento e la compressione delle diverse produzioni artistiche, rendono particolarmente faticoso il percorso espositivo, e tendono ad appiattire e schiacciare l'una sull'altra le singole opere, finendo proprio per creare quella sensazione di omologazione e déja vu che i curatori si proponevano di combattere.

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